Parole

Europa, alzati!

La questione dell’identità preoccupa molto il vecchio continente. Ricordo le grandi trasformazioni vissute dall’Europa. È il continente conosciuto come la terra dei grandi conflitti e delle divisioni, delle grandi scoperte e soprattutto delle straordinarie unioni nella politica, nel commercio e nell’identità. Dal Rinascimento all’Illuminismo, il vecchio continente si è cementato nel tempo, ma la sua identità, a mio parere, non deve avere un significato monolitico. L’appartenenza alla cultura giudeo-cristiana può essere un parametro rilevante ma insufficiente perché il vero europeo dev’essere oggi colui che sa condividere ogni altra cultura da qualsiasi parte essa provenga, rispettarla ed accettarla. L’Europa ha un grande merito: unire economicamente tanti paesi e nello stesso momento una grande sfida, propagare i valori e raggiungere le identità nazionali, regionali, in ogni angolo in cui vivono i suoi figli e anche oltre i suoi confini.

La condivisione dei valori, il rispetto delle minoranze, l’uguaglianza tra i cittadini, le pari opportunità tra i sessi, il ripudio di ogni forma di esclusione: ecco vari punti fondamentali che fanno dell’Europa un continente dei diritti. Soffermiamoci però sull’ultimo punto perché dev’essere approfondito per non scivolare in una semplice retorica. In realtà la presenza di cittadini non europei è stata un tema molto diffuso e utilizzato dai partiti di destra ed estrema destra per raccogliere consensi. Ricordo che tale sistema propagandistico fu usato di frequente fin dai tempi coloniali e durante la tratta degli esseri umani per ottenere il dominio sui popoli considerati indigeni. Il vecchio continente ha avuto sempre un atteggiamento di monopolio nell’assegnare il primato della cultura. Questa mentalità non può reggere in un mondo, dove le culture sono ormai mescolate fino ad unificarsi. La mondializzazione è una forma per sua essenza molto universalista e universalizzante ma la sua utilizzazione ha fatto nascere tutte le distorsioni economiche nel mondo. L’occidente in generale ne esce come unico vincente. Se si applicasse come si deve il tema dell’universalità, nessun partito xenofobo e / o partito precursore dei respingimenti massicci e propugnatore della politica “ Tolleranza zero” avrebbe raccolto molti consensi. Per citarne alcuni, Le Pen in Francia, Pim Fortuyn in Olanda assassinato nel 2002, BosJimmie Akesson in Svezia, Gabor Vonna in Ungheria, Haider in Austria morto nel 2008, Bossi in Italia, personaggi diventati importanti grazie al sostegno di chi non sposa l’apertura delle frontiere ad altre culture ecc …

La presenza di immigrati provenienti dal resto del mondo, non solo ha generato una scossa potente nel mondo politico occidentale e in particolare europeo ma continua anche a scatenare fiumi di discussioni e a creare squilibri sia sociali, sia politici sia culturali. L’Europa insofferente sui temi inerenti l’intercultura, il multiculturalismo e ad altri temi connessi l’immigrazione, trema. Una paura fondata? Pongo la domanda per due motivi: come un paese può colonizzare, esportare ovunque la propria civiltà e intimorirsi di fronte all’invasione culturale? Quando l’Europa avviò i grandi temi della mondializzazione e della globalizzazione, non aveva fatto i conti con gli elevati flussi migratori? Rispondo: la paura è infondata.

L’Europa, nonostante gli sforzi di alcuni dei suoi leader, è ben lontana dall’aver vinto la globalizzazione culturale né ha convinto gli euroscettici ad accettare un’Europa aperta al dialogo delle culture. Il continente antico appartiene ormai a tutti e ne sono certo. Ogni cittadino extracomunitario residente in Europa è obbligato alla condivisione delle realtà culturali del paese ospite e nello stesso tempo ha il diritto di professare la sua credenza, di parlare la sua lingua e di conservare le sue usanze. Oggi porre il tema di conflitto di civiltà sembra anacronistico; parlare di rimpatri non elogia il vecchio continente; focalizzarsi solo sull’economia impoverisce il tema della mondializzazione. L’occidente, non riuscendo a convivere in terra propria con altre civiltà, segna un’auto gol umiliante poiché la sua storia colonizzatrice e imperialistica non gli può consentire di rinchiudersi e di mettere sotto accusa gli invasori.

Quando si parla di esclusione, ci si riferisce anche all’omofobia. In alcuni paesi, il problema è meno arduo e in altri la questione crea molto confusione. Pensando all’Europa dei diritti, non c’è nessun dubbio che ci siano tante cose da fare. L’Europa si rialzi perché aspettiamo da lei il vero e reale continente dei Diritti e l’eliminazione della parola esclusione dal gergo politico, sociale e culturale.

L’Europa si rialzi e lavori seriamente alla costruzione di una vera europeizzazione culturale, di un’identità culturale solida. Ecco il vero tema ed è questo che si doveva affrontare prima di pensare all’unificazione monetaria che oggi continua a creare molti dubbi. Occorre un nuovo Rinascimento culturale.

http://www.el-ghibli.provincia.bologna.it/id_1-issue_08_34-section_6-index_pos_2.html

Quello che ancora non abbiamo: una Nuova Carta dei Diritti Umani by Cheikh Tidiane Gaye

Era il 1789 quando, per la prima volta, si materializzò la volontà di riconoscere i diritti agli individui, ma quante carte sono state emanate nella storia dell’umanità? Parecchie.

È passato molto tempo e si continua ancora a parlare e a riflettere sulla filosofia dei diritti umani. Non si può affermare che lo sforzo non sia approdato a nulla, ma evidentemente la situazione dell’umanità e i risultati delle politiche sin qui ottenuti non fanno mancare innumerevoli dubbi.  Le stragi atroci che hanno afflitto l’umanità sono tante: la schiavitù, il colonialismo, la decolonizzazione, il genocidio ruandese, le dittature nel Terzo Mondo, il terrorismo in Medio Oriente, la guerra storica tra Israele e la Palestina, i colpi di stati orchestrati in Africa, il Terrorismo religioso … senza ovviamente dimenticare i diritti calpestati dei Migranti. Non dimentico, ovviamente, la nuova forma di schiavitù che arricchisce l’occidente. La manodopera migrante, ad esempio, è, agli occhi di tutti, la nuova forma di schiavitù. I paesi sviluppati e  industrializzati che comandano il mondo hanno un tasso di clandestinità molto elevato, per citarne alcuni, gli Stati Uniti, la Francia … I diritti dei profughi e clandestini sono negati: in alcuni stati la clandestinità è considerata un reato.

Non mi soffermo solo sul tema dell’immigrazione. Le donne soffrono, torturate e umiliate nei paesi dove governa l’estremismo islamico. Non solo, in altri paesi del mondo anche l’omofobia cresce.

Ora non possiamo più rimanere nel quadro disegnato da alcuni umanisti del passato e dai politici capitalisti odierni e continuare a consumare  teorie fiabesche. Il mondo va avanti e i legami economici, socio culturali ed etnici crescono in  modo esponenziale e sorprendente. Davanti a tale fenomeno considero ormai inefficiente l’attuale carta dei diritti umani.  L’intreccio tra le culture e l’accrescimento dei fenomeni migratori (per le persone), lo scambio economico e le meritate scoperte informatiche (internet), ci spingono a credere che l’umanità si unifica, si collettivizza per diventare un solo mondo con le sue ricchezze, sia materiali che spirituali e intellettuali, destinate ai suoi cittadini. L’andamento attuale descrive una nuova letteratura del concetto di diritti umani. Le grandi democrazie devono risvegliarsi e frenare l’onda mortale. Gli oceani e i deserti sono diventati cimiteri; nelle città metropolitane crescono i ghetti e in tanti paesi assistiamo a ribellioni, guerre, manifestazioni popolari.

Il coraggio vuole che si affermi senza paura che i diritti sono negati, calpestati e derisi. L’Africa fa fatica a rialzarsi davanti ad una mondializzazione iniqua, l’Europa vive una crisi di identità, l’Uomo non ritrova più la pace sociale tanta desiderata.

Il paradosso oscura la politica occidentale con il populismo, che non fa che accrescere discriminazione, divisione e disuguaglianza. A tale proposito il nuovo millennio segna il fallimento dei politici. L’umanità soffre di politici inadeguati. Non vi è la possibilità di percepire la vera realtà e creare una condotta per il bene dell’umanità intera. In questo momento si dovrebbe ragionare sul riconoscimento dei diritti di ciascuno di noi e non dell’emancipazione di coloro che storicamente sono oppressi e dominati. Le distorsioni sono parecchie, discorrere sempre sul tema davanti ai massacri, al sangue che inonda i nostri salotti tramite i reportage televisivi, alimenta solo l’indignazione. La Nuova Carta dei Diritti dell’Uomo avrà il compito di capitalizzare i nuovi fenomeni sociali, culturali ed economici e di non fermarsi solo sull’ “autonomia” degli individui, ma celebrare la vera essenza dell’Uomo: la sua singolarità e la sua dignità. L’ultima parola non deve essere solo la cultura e l’ origine, ma la dignità di vivere, studiare, curarsi, crescere, invecchiare insomma vivere.

Non indigniamoci quando i migranti chiedono parità di trattamento e alcuni autoctoni deridono e criticano pesantemente le nostre posizioni. Il preambolo dei diritti dell’Uomo non è stato ben ricordato ai nostri “oppressori”. Ognuno è cittadino dalla terra che lo ospita. Sembra  retorica ma è la giusta realtà. Il mondo come concepito appartiene a tutti e la rivendicazione di appartenenza ad una cultura piuttosto che ad un’altra sembra follia e inesistente. L’Uomo deve accettare la pluralità culturale come ricchezza, l’appartenenza alla propria cultura come identità e poi coniugare nello stesso tempo i due elementi per vivere nel mondo. Finché il politico, l’umanista, l’uomo in generale farà fatica ad accettare che il suo avvenire è il meticciato, sarà ovviamente difficile disegnare la vera Carta dei Diritti Umani.  Dobbiamo credere molto di più a noi stessi, all’Altro che s’identifica in noi stessi. Dobbiamo prendere coscienza che i nostri valori avranno senso solo quando gli altri daranno loro qualità. Dobbiamo infine cancellare dalle nostre mentalità che le nostre culture siano migliori e più importanti delle altre. Le società occidentali che ospitano i migranti non devono pensare solo all’aiuto, ma lavorare per far nascere un ambiente idoneo per lo sviluppo delle libertà individuali. Non chiamo questo fenomeno integrazione. Come non accetto gli aiuti umanitari dopo che mi sono state vendute le armi e acceso il fuoco.  Abbiamo il dovere di espandere la parola “libertà” in tutte le stanze della vita per vivere degnamente. Libertà vuol dire decidere, scegliere. È solo quando la libertà individuale è garantita che si può parlare di collettività, di riconoscimento e di veri Diritti. Ricordo solo che dalla nostra legittimità parte la nostra Libertà. Il non riconoscimento dei nostri diritti traduce il vero fallimento della Carta dei Diritti Umani. Questa libertà  che cerchiamo si trova, penso, nella carta Manden proclamata nel 1222 per l’incoronazione del sovrano re dell’impero del Mali, Sundjiata, che racchiude le  seguenti affermazioni:

« ogni vita è una vita »

« il torto richiede una riparazione »

« aiutatevi reciprocamente »

« veglia sulla patria »

« combatti la servitù e la fame »

« che cessino i tormenti della guerra »

« chiunque è libero di dire, di fare e di vedere »

La mia domanda è: non sarebbe meglio tornare negli anni 1222 per vivere  dignitosamente? Rivisitare la Carta dei diritti è il nostro dovere.

Land of mine

Autor Cheikh Tidiane Gaye© Translated from the Italian by Julia Elizabeth Simmons

 Land of mine

You were still bare in my eyes

when I slumbered in your shade,

the waves of freshness seeped into

my memories, deep and sweet,

the Mediterranean embraced me

and yet I am a son of your arid land.

Land of mine,

two times my heart awakens,

the song of the rooster at dawn,

when the sand watered by the sweat

of your good women, the pestles would pound

in the sweet intimacy of mortars, I remember, land of mine.

I remember, land of mine,

The heart awakens 

the sweet fragrance of the Alps

opens my lunar lips

the breath of the wind

the sun of the Sahara that enchants me

like the warmth of Sicily that caresses me

and I no longer awaken with the treacherous noises:

cannons and craters.

Land of mine,

I am awakened by the singing of the breeze and the mist

the song of the river that ignites my blood,

I feel like a plant with roots of lead.

I need your black song

to warm my dark heart

your drums and storytellers

to unearth the well of melodies

and to bury the tears and laments…

My Land,

I have walked a long time in your heart

unearthing your memory

I pulled out the mask,

the face of your past glory.

The twisted path

does not embrace the silence of your gaze

and the darkness of night

illuminates the sweetnesses of your body

skin of pearls

blackness of ebony

pride in your existence…

This poem is one of the drums that we beat every day in the streets to remember our lands, our origins, to paint our memories and put our stories to paper.

The theme that brings us together today is certainly a way of discussing “the voicelessness” or “the unheard voices” or better still, “the unknown voices”.Ferrarahas not betrayed its history; the art city that is not only Italian, but also European, and has hosted great men: Ludovico Ariosto, Copernicus, George Gordon Byron, to name a few.

Today,Ferraradoes not diverge from tradition. The title of this convention, very provocative and iconoclastic, summons us to discuss a budding literature, or, the literature of migration.

“Voice” hides melodies, words, poetry, thought, philosophy, the cries and laments. “Street” is the trail, path, means, end, and their marriage. A superficial reading could attribute a negative connotation that sends us back to a class of writers or artists that are both out of the ordinary and unusual.

Thus starting from this realization, we could therefore begin to reflect and better understand our essence, our present and our future. If this eighth convention aims at finding an excellent opportunity for the “voices of the street”, the convention in and of itself is the architect of a solid monument where thoughts meet, a museum of memories and a crossroads of different cultures. This edition may encourage the scholars of comparative literature to reflect deeply on our stanzas, our verses and our texts that are by now an integral part of Italian culture.

Reflect to better understand immigration, the problems linked to integration, but also to explore the identities of other peoples that come from every corner of our adopted country. We have given birth to many lines and I do not believe that we are preaching in the desert. Our fairy tales, legends, stories, misadventures, and histories will be able to be used as pedagogical instruments to promote integration.

The storytellers of the negritude movement were confronted with the enormous difficulty of conveying their ideas. In the end, however,France, as a colonizer, accepted the glorious texts and their authors, whose names today are included in the history of the country. This was a land which for centuries had rejected the identity of those colonized.

“Voice of the street” can represent a cry of liberty, fighting for the rights in favor of minorities as Martin Luther King, Malcom X, Gandhi, and so many others have done.

“Voice of the street” is also a manifesto, a challenge, that one writes in the wake of the proclaimed struggle of our intellectuals and fathers of the literature of the marginalized- today, noted writers –from Neruda to Cesaire, from Senghor to Frantz Fanon, to Leon Frobenius…etc. These writers have worked in the past to reveal the cultural existence of those peoples first enslaved, then colonized, and finally imprisoned by the neocolonialism in which we are living today.

Black I am and will always be, as the Argentinian will always be Argentinian, the Algerian always Algerian, the Sardinian always Sardinian, the Togolese always Togolese. But I would be happy to feel like a citizen of the world, a being capable of receiving with open arms all cultures and capable of offering these same cultures that which I am, that which I feel, that which I live and that which I possess: my story.

The concept of globalization reduces man to its bear essence, like the tenet of Universalism that the Senegalese president, poet and visionary Leopold Sedar Senghor taught us. “Voices of the street” is Universalism, Secularity, “Métissage”, the teaching of tolerance. The only means of defeating these distortions and discriminations is found in the capacity to acknowledge other cultures and their differences. “Universalism” does not rhyme with boundary, nor with periphery, nor even with borders, but with true love towards mankind, its culture, its literature and its art.

The country that hosts us, our dearItaly, country of a great millenary civilization, is unlikely to open the street to multiculturalism, that concept which is truncated by politicians, but is the only road to salvation to be able to create an impartial, rightful society. In the course of history, we remember the equation “equals Western Civilization”, the rest of the world was considered a blank slate, devoid of civilization.

Today the same equation seems to hold true, but I believe that the new formula must be “Human Being = Race” because there is only one race. It is the human race. Our texts aim and progress in this direction. I hope that we will continue to generate the ideas that might facilitate integration and teach equality, love between peoples and eradicate discrimination and an over-bearing demeanor. Here is our mission, our goal. The path is very thorny, but we will do it; we must do it.

Our literature is born from immigration and in immigration, but it represents a literature rich in color, taste, perfume, and nostalgia.

The voices that shout, that sing, that create and recite poetry have so much to say and so much to give, but are very far from finding the true path, that route which is comparable to a toll road run by entrepreneurs nourished by profit and not by literature and philosophy.

The “voices of the street” are the true writers of a new literature, the proponents of the Italophony, a term that I use today to encourage our politicians to reflect on the writers of migration. Our common denominator is the use of the Italian language, not the stories that we tell. IfFrance,England,Portugal orSpain have in the course of history spread their languages by means of war, domination, blood and colonization (a phenomenon and the underlying cause of the underdevelopment of the third world), the Italian language, with immigration, is spoken beyond the confines and within the confines of the world. Until now, the Italian language has won, marking a new phase of its literary history. The voices of the street, or the new writers of migration, are part of the literary history of this country. We have entered into history; our names honor Italian literature, following, thus, in the footsteps of Dante.

Who expects from integration the abandonment or denial of our languages and cultures of origin will be disappointed. Every citizen that treads on this land is incredibly proud of his own culture, and also of belonging to his ethnic group and to speak his own language. It is from here that we must start again, to spread multiculturality, to recognize other languages, the art that originates from other horizons, the metaphors that land on the Italian linguistic blackboard. I believe that all these elements enrich the Italian heritage and do not spoil it.

We are neither Dante nor Leopardi, but we too are defenders of the art of the written word and of the Word. We are not only the narrators of migration, but we are also the painters of verse and of syllables. Therefore, we have the duty of decorating, like all those fond of art and literature, our words in the temple of thoughts and of –sophy, that dialectic or theory that is born out of every people and yet doesn’t belong to any people.

The world is almost represented in this convention, with different styles, with eloquent nuances and with various ways of recounting: this is the liveliness offered by the voices of the street.

“Voice of the street” is not the metropolitan fable that we hear every day, correlated to an anachronistic writing or second-rate civilization.

“Voice of the Street” does not point to the conflict of civilization or to the demolition of the Coliseum, nor does it seek to spread the rumor that the Italian culture is to be buried. Instead it seeks to glorify the history of this noble monument and to make our contribution to the construction of a new society, based on the respect of human dignity and on universal values. A country cannot establish itself on discrimination and on the denying of others or those who are different, but on love, on a smile and on the ability to welcome minorities, accepting what they are.

“Voice of the street” is the needle that sews the border, giving birth to a frame, the painting of all the colors and of all the expressions, hanging on the nail of tolerance and of love.

Let’s defend the “word”; it is our seed. Let’s defend our culture; it is our dignity. Let’s color reality and emotion; it is our mission, let’s sing to prevent the death of poetry.

I thank my dear colleagues, and I offer a solemn salute to the organizers of this noble initiative and an embrace to the city ofFerrara.

Per la rinascita della tradizione orale

Il Baobab merita la nostra voce

Ho scritto “Mery: la Principessa albina” con l’intenzione di far rinascere lo stile e la cadenza tipica della narrazione orale. Un ricordo storico, per porre l’accento su come le grandi potenze coloniali hanno sempre cercato di avere la mano del potere assoluto sulle loro colonie, imponendo la propria lingua sia nel settore dell’amministrazione come nell’educazione e nell’insegnamento, facendo sì che le lingue nazionali fossero inevitabilmente abbandonate al profitto di quelle colonizzatrice. La conseguenza di una tale scelta è stata la perdita dei valori antichi e della ricca eredità sia nell’arte sia nella cultura: il risultato è, senza dubbio, la perdita di riferimenti. Anche lo scrittore ha la tendenza a sposare lo stile moderno al profitto, rispetto a quello che caratterizzava, incontestabilmente, la sua identità. La colonizzazione francese si fece sul principio dell’assimilazione e i neri francofoni hanno sentito l’esigenza di affermarsi, di affermare quello che è, di assumere la loro negritudine, che, a mio avviso, è lontano dall’essere l’assomiglianza al colore della pelle, ma salvaguardare i valori ben comuni o diversi della diaspora nera. Sappiamo anche che, all’epoca, cioè, prima del 1930, i popoli, che occupavano il territorio greco-latino e giudeocristiano, erano considerati civili, i barbari non totalmente inumani occupavano la curva mediterranea e, i selvaggi, erano di là dai limiti. Le culture erano negate negli anni ’30 e il nuovo approccio vide la luce del giorno con Claude L. Strass, L. Freobenius e Margherit Nied. Una descrizione sommaria del contesto storico degli anni ’30 fa consolidare quello che chiamo l’”Affermazione”, che non ha né inizio né fine, ma sarà perpetuata per facilitare l’arricchimento.

Non dimentichiamo che la globalizzazione ci coniugherebbe perfettamente quando ogni essere umano si allatterà delle sue radici e della sua cultura. E’ sempre bene conoscere e ricordare la storia, come è indispensabile non ignorare la realtà culturale di un popolo. I paesi di tradizione orale non dovranno perdere di vista la ricchezza della loro cultura e nessuno al mondo, spero, si accontenterebbe di misurarla usando il PIL: quest’unità di misura dovrà servire solo all’economista. La cultura appartiene ad ogni popolo. Ogni popolo è dotato di realtà nella quale partecipa, senza alcun dubbio, all’incremento dell’essere.

Scrivendo “Mery: la principessa albina”, ho preso in prestito la bella voce di Amadou H. Ba, figura emblematica della narrazione orale e, anche se gli occhi sono importanti nella persona, l’orecchio avrà per sempre il ruolo di codificatore, per immortalare la ricchezza del patrimonio della tradizione orale. Quando il vegliardo offre la sua saggezza, l’adolescente dovrà ascoltare per poi giocare la propria partita facendo tesoro delle sue parole: ecco la ricchezza dell’oralità. Il baobab ha sete della purezza delle parole e della clemenza del verbo. Per conservare i fiori del baobab necessita uno stile legato all’oralità, per il riconoscimento delle nostre realtà, delle nostre lingue e il rinascere dei personaggi chiave che la costruiscono. Nell’opera di Senghor, il ruolo del Djiali è vivamente noto, come anche il suo ritmo, composto di canti e danze, dell’adorazione dei maschi e della natura. La nuova generazione di scrittori africani avrebbe dato più brio ai loro stili se fosse riuscita a conservare i riferimenti tradizionali.

Grazie alla ricchezza delle sue argomentazioni e del suo stile, Amadou Kourouma è riuscito a generare un capolavoro estremamente difficile dovuto alla credenza della sua realtà culturale. Penso che la nostra letteratura si farà maggiormente rispettare nel momento in cui coloro che la nutrono la rispetteranno rifiutando di prendere in prestito dall’altro “mondo” delle nuove tecniche d’espressione, che rovinerebbero il loro stile naturale.

Mery è di un genere talmente nuovo, che attinge la sua cadenza nell’oralità e che si apre nella realtà moderna per i temi trattati.

… Ho la storia sulla punta delle labbra e non userò mai l’enciclopedia per descrivere la storia alla corte. Non mi occorre il dizionario per cercare aggettivi adeguati per qualificarti e sinonimi per osannarti. So conservare la saggezza dell’oratoria e la parola per me ciò che il sangue è per l’essere vivente. La parola è sacra e la conservo come un tesoro.[…]. Io sono l’imminenza grigia di questo popolo, l’ombra onnipotente, la luce imprendibile, la saggezza presente e futura …”

Occorre, infine, sottolineare la sacralità del verbo nell’oralità e le difficoltà che si presentano, per gli scrittori contemporanei, nello scrivere utilizzando lo stile con cui parlava il griot. Una tale difficoltà non dovrebbe, in ogni caso, spingerli ad ignorare ed abbandonare la ricchezza della tradizione orale.

 Mery, la panafricanista assoluta

Il lettore sente, sin dalle prime pagine dell’opera, il bisogno cruciale di Mery di creare un impero, un mondo virtuale, dove la pace e la libertà saranno alla portata dei cittadini. In primo piano esiste questo grande volere, anche esagerato, di risolvere la discriminazione che l’umanità sta vivendo.

Ecco la ragione per la quale il matrimonio di Mery con Marco richiede un’attenzione particolare. Quest’unione non è certo il simbolo che sottolinea l’unione tra l’Africa e l’Europa, ma rappresenta una grande speranza verso l’unificazione del mondo come barometro dell’accettazione dell’altro;

l’altro come specchio, ombra, luce e non il nemico, il barbaro, il povero …

Il mondo di Mery è particolare, è irrealizzabile nel presente, ma il suo scopo è scritto nel futuro: un mondo da amare per il bene dell’uomo.

Attraverso l’immagine di Mery, non si vuole comunicare la necessità che si faccia scorrere il sangue, né di impedire il sorriso dei bambini, ma di asciugare i laghi di lacrime e di fertilizzare la terra con il sorriso e l’amore; di rispettarsi e di accettarsi; di unirsi per illuminare i cieli di speranza e di concordia. Ancor più il verbo pacificatore è il grido unificatore di Mery, che interpella non solamente la coscienza umana, ma soprattutto coloro che oggi partecipano alle grandi fasi decisionali del pianeta. Tutto ciò fa sorgere in me alcuni quesiti: bisogna sempre, in ogni momento, per risolvere una situazione conflittuale, intraprendere il cammino del sangue e della guerra?

Bisogna ritornare sotto il baobab per affrontare serenamente le vere questioni? E in ogni caso, sarebbe meglio cantare, ballare e parlarsi, per arrivare a una vera e concreta soluzione: ecco l’esempio di Mery.

Mery, l’incarnazione della donna come modello di pace

Il nome “Mery” rima con le parole “beatitudine”, “clemenza” e “bontà”, tradotto in “Maria” nella religione cristiana, e “Mariam” in quella mussulmana, la donna ha da sempre occupato un posto importante nelle religioni monoteiste. Mery incarna la bravura della donna, e nella sua lotta sottolinea a tutta l’umanità il suo ruolo da sempre assunto nella società. Attraverso la principessa albina, l’immagine della donna, infatti, ne esce glorificata. Essa non è semplicemente garante o protettrice del suo focolare, ma simbolo della rinascita, cuore della società, faraone che veglia sulla politica dell’intero paese.

“… Mi chiamo Mery, la giovane principessa d’Africa la purificatrice. Questa asserzione mi appartiene ma è anche di tutti coloro che hanno vissuto la storia meritevole di lasciare questa vita. Vorrei abbandonare questa vita, questa terra, rifugiarmi in un cielo più ricco dove poter sorseggiare le delizie della vita. Un cielo dove i bambini non maneggeranno mai delle armi ma studieranno e dichiareranno propria la dignità umana. […] Volare sarà il verbo da coniugare con i miei discepoli ed insieme costruiremo un mondo di giustizia e di pace dove l’uomo sarà dall’inizio alla fine responsabile di se stesso e potrà decidere della propria esistenza. […]

Abbandonerò questa terra sanguinante, questa Africa disincantata, senza cuore e senza voce, questa Europa triste e chiusa, questa Asia palpitante e soffocante e ci avvolgeremo in altri cieli …”.

edita da Edizione dell’arco 2006

POESIA TRATTA DA CURVE ALFABETICHE –
MONTEDIT -ISBN 978-88-6587-0808

Ho curato la mia ferita nel ventre del flauto
non mordo il suono del vento
colgo l’aria per dissodare le bocche orfane di melodie
e seppellire le doglie delle notti tristi.

IL GIORNO

tratta da Ode nascente ISBN 978-88-7876-120-9 

Sul binario della pazienza
arriva il giorno
lontano dalla notte melanconica.

La mia vita è una conclusione
che disserto all’alba
e non so in quale notte
canterò di nuovo per addobbare il mio albero
che rifiuta di fiorire i miei sogni.


CANTO

Tratta da Canto del djali – pagina 54- ISBN: 978-88-7876-086-8

Un ponte mi legava tra giorno e notte, filo astratto
come vita e morte,come la luce del sole brillante,
la luna fresca che cantavo insieme ai suoni del vento
e mi affidava parole d’oro,
flauto che ritmava i passi della gregge.
Canto sotto il tamarindo
prigioniero sotto l’ombra di mezzogiorno che libera la mia lingua
miele nell’alba amoreggiante
all’ascolto dolce delle parole cristalline.
Canto camminando
libero di giorno come di notte
testimone dei sogni per le voci dei bambini
vera voce, carezza dolce su mia pelle.
Cantando
che mi accompagnino le voci sterili dei bambini
la voce degli anziani, dei tamburi, i cuori senza rancori e i proverbi
i veri proverbi nati dal fiume e dal baobab.
Nel rumore del mare canto e so cantare nei ritmi dei venti
il volo dell’uccello,il cammino del cammello, il canto del piccione.

NIMA – ROGA

Tratta da Time abbracciate

Il tuo corpo biondo
la tua altezza gazzella
i tuoi occhi uovo
la tua bocca mi copre dal freddo.

Nima,
Quando parli
nasce l’allegria, la tua voce è canto
cantare, cantano i tuoi occhi, sei il sapore della notte
che offre il calore del fuoco e la fiamma della luna.

Nima,
Mi piace il tuo corpo
che balla al ritmo dei tuoi occhi.

Nima,
mi piace il tuo corpo
che mi ha colpito in pieno sogno

Nima,
mi piace il tuo corpo
sei il frutto della passione
la passione della tua bocca
è il tempo che parla.

Nima,
il sole che richiama la tua ombra
è carezza sul mio petto incantato dal tuo profumo.

Tratta da Rime abbracciate
di: GAYE Cheikh Tidiane – Maria Gabriella Kouacou
Ediz Harmattan – Paris- France

ISBN:978-2-296-55910-3

Cantare per Abdul Guibre

L’albero perdeva le sue foglie
il vento taceva
la luna spegneva il cielo
il sole che illuminava gli sguardi
tacque, il silenzio inondò le bocche
ancora un’altra volta sangue versato
lacrima le volte nere
sangue sdegno per alcuni,
sangue impuro e senza storia,
pelle nera da seppellire per gli altri
sangue  per dei biscotti
ma ieri col sangue richiamiamo questo sangue
scambiato per il café e il cacao
per il tabacco e il cotone
ricordiamo la terra dello Zio Sam
sfornata dal sudore e dal sangue dei nostri avi.

Oggi dirò chi sei:
figlio dell’Alto Volta, l’edificio di Boulgou, la tua terra
appeso nella memoria di tutti noi
il tuo nome è giorno
il tuo nome è notte
è stagione
è stella
la tua nascita rima con il tempo
sarai per sempre sganciato nella galleria dei nostri ricordi
il tuo sangue scolpirà vento e versi
per illuminare il verso dell’amore;
il tuo sangue rosso che sorge dai Bissa, la tua gloriosa etnia
il tuo villaggio Niago ha sempre cantato

a noi cantare con il flauto e con il tuo Kiunde, la chitarra antica
per glorificarti,

a noi la parola
a te il ritmo,

a noi la paura di parlare
a te la pace e la libertà,

a noi  riflettere
a te agire,

a noi sognare
a te  brillare,

a noi respirare l’eterno alito cattivo delle bocche vampire
a te l’incenso spalmato nelle nostre stanze oscure,

a te unire col tuo sangue la notte e il giorno
e partorire un nuovo domani, il cielo della misericordia e dell’amore.

La tua stirpe non ha mai tradito
come il tuo sangue mai deluso
il tuo sguardo scolpisce l’amore e non la spada
le tue mani morbide accarezzano e non uccidono
le tue labbra lunari hanno saputo accogliere
la tua voce ha per sempre partorito la gioia e non la miseria
il tuo profumo non marcisce
sei l’erede fiore da mostrare per l’unità tra i popoli
il tuo nome infiammerà i fiumi
il tuo sangue l’inchiostro che sigillerà la pace.

Non ci sei oggi ma oggi ci sei
vicino a noi per alzare la tua voce mielata,
il tuo nome onore
la tua lingua orgoglio
i tuoi occhi splendidi come la pietra preziosa

Abdul, il tuo nome annaffierà i cuori  deserti e secchi.
A noi piantare il tuo nome che fiorirà nelle pianure della concordia.


Canto per Obama

Poesia dedicato a Barack Obama pubblicato su Metropolis e Voci del silenzio

Quanti barconi accostavano sulle coste del Mississippi

gli sguardi smarriti  nei meandri della disperazione

le stelle in lutto,il cielo melanconico,il sudore d’oro

che arricchì terre senza passato e senza presente?

La piroga che abbandonava l’Atlantico,

che palpitava le valvole dei tuoi nonni i nostri avi

la piroga dei rancori partorì la lava del vulcano,

il sangue fuoco fulminante delle notti buie,

notti solo di malore e di dolore:

quel sangue è del leone e dell’orso

che all’alba aprirà l’occhio del sole,della luna.

Già da oggi la storia ha riempito i fogli della memoria,

le parole spalmate nei nostri sguardi,

gli applausi intrecciano la libertà

di un popolo imprigionato nella notte dei tempi.

Oggi i fiori sbocciano i dolci frutti

i frutti dalle radici secolari

i secoli che riempiono i pozzi di bei ricordi:

Gorée rinasce,il cielo di Bahia sorride

Mississippi canterella,Harlem intona il suo Jazz-

Obama,

Il tuo sogno approda sulle spiagge di tutti i cuori innocenti

nelle onde canticchiando offrono la brezza di  primavera

la speranza scolpisce le tue labbra e sforna l’amore

e dal tuo sorriso di marmo sorriderà un intero popolo.

Dal tuo spirito pittore e dalla tua anima novatrice

stampi con orgoglio nell’asfalto il timbro unificatore

-la tua voce di flauto non illumini la spada dei nemici della pace

ma addolcisca di gioia le lacrime purulenti.

Oggi,il vento rinfresca gli sguardi sperduti,

le stagioni applaudono e la piuma riscrive il lungo cammino dei negri.

Sono partite le stelle accolte nel cielo della misericordia:

Martin Luther king dalla lingua di spada che non violentava la parola

Malchom X che cantò la libertà,Marcus Garvey la storia leggendaria

oggi sei tu il barometro della storia

invulnerabile Masai,dalla tua voce tronca il tifone

la tempesta non passeggia nel tuo cammino

ma sei un bianco,un nero,un mediterraneo,un arabo

profumato d’oriente e bagnato nel Nilo

porti ovunque la bellezza della razza umana.

Obama,

Baraka su di te

sei la luce del mezzogiorno che alza la bandiera della libertà,

sei il sangue fertilizzante delle terre aride

l’acqua pura nutriente che annaffierà le piantagioni sterili,

sei la bussola che offrirà la parità,il fulmine salvatore

dopo le risse torrenziali,

il tuo cammino reale più elegante dello struzzo

sfoderato negli sguardi di Chaka lo zulù e di Soundjata il mandingo

Obama,

hai già vinto e non ti resta che vestirti dell’arcobaleno

e nel tuo dorso di tenerezza,imbustare tutte le speranze perdute.

Ricordati le mani colpite nelle piantagioni di cafè e di cacao

ricordati secoli di pianti e di lamenti,

bocche imbavagliate,lingue strappate,pelli ferite

ricordati sangue degni immolati nelle strade per rivendicare la libertà

ma perdona e offri a tutti la tua grazia

sii clemente quanto la madre di Calcutta

sei la trombetta,il tam-tam

suoni la musica che addolcisce i cuori deserti

strappi l’ago per cucire le barriere fino ieri di vergogna

accendi il carbone negro per illuminare la statua della Libertà.

Se potessi,

ti darei il cavallo di Aimé Cesaire

e della sua lingua sfameresti le bocche senza lingue,

se potessi,

ti darei le sillabe di Senghor per nutrire i giardini di Washington,

se potessi,

ti offrirei un bagno rituale per purificarti a Tumbuctu.

Nel tuo cuore tutti i neri leggono la speranza,

nel tuo sguardo l’avvenire del mondo e dal tuo cammino epico

la vittoria attesa dell’umanità.

Obama,

con il mio tamburo intessuto di pelle di capra

dal mio legno scolpito nelle radici del tamarindo

intono il ritmo reale per incoronarti:

il figlio leggendario partorito nell’antro della tigre

battezzato nel raduno dei leoni,

il tuo nome scelto nelle notti evocatrici

il tuo passo svelto,canterò il tuo cuore olimpico.

Che la luna appenda il tuo nome nel firmamento del trionfo

e che il sole ti protegga dalle spine velenose.

Ho già seminato le mimose,

e quando la freschezza riempirà la mia casa a novembre

la fraternità vincerà sull’odio e la disuguaglianza.

1 thought on “Parole”

  1. Waly ndiaye diop said:

    It was awesome…. i was astonished…..i really like it and that past allow us reminding our ancertors, the history of our live, our origins…..

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