Intervista a Cheikh Tidiane Gaye, poeta e scrittore
di Mirko Roglia
Cheikh Tidiane Gaye, poeta e scrittore, membro di Pen Club Internazionale, è nato a Thiès in Senegal. La scrittura è sempre stata la sua passione più o meno segreta, sbocciata in ambiente e lingua italiani con il libro Il giuramento (Liberodiscrivere, 2001), seguito da Méry principessa albina (2005) e Il canto del djali (2007), entrambi pubblicati dalle Edizioni dell’Arco. Nel 2009, pubblica Ode nascente sempre con le Edizioni dell’Arco, una pubblicazione bilingue italiana e francese. Nel 2010 pubblica Per una tazzina di caffè con la casa editrice Ediesse, racconto inserito nell’antologia dal titolo “Permesso di soggiorno, gli scrittori stranieri raccontano l’Italia” a cura di Angelo Ferracuti. Vince il Premio Internazionale di Letteratura Europea con l’opera Ode nascente a Lugano nel maggio 2010 e il Premio Anguillara Sabazia a Roma. Nel 2011, pubblica con le Edizioni MonteditCurve alfabetiche e di recente ha curato l’Antologia poetica di espressione francese per la rivista Soglie dell’Università di Pisa. Nel febbraio 2012 è co-autore di Rime abbracciate/ L’Etreinte des rimes, opera poetica bilingue pubblicata da L’Harmattan in Francia. Attualmente vive e lavora a Milano, dove per le ultime elezioni amministrative è stato candidato al Consiglio comunale sostenendo l’attuale sindaco Giuliano Pisapia.
Prima di tutto il problema terminologico. Se è pacifico che sono erronee, anche solo parzialmente, tutte le definizioni ad oggi utilizzate per definire la letteratura italiana prodotta da autori di origine straniera, è altrettanto vero che ci sono fili comuni – quello delle biografie degli autori ma anche quello della potenzialità trasformatrice a livello linguistico – su cui può essere utile discutere. Tenendo a mente che stiamo parlando di letteratura italiana a tutti gli effetti, come vivi la presenza di questi fili comuni e la volontà, di critici e professori soprattutto, di trovare una collocazione e un nome specifico a questa esperienza culturale?
Penso che ogni attività debba avere un nome, un suo percorso. Tutti i movimenti o correnti letterari nella storia hanno avuto un nome. Rilasciare un nome non è sbagliato, a mio parere è il tipo di nome che viene usato che crea sempre problemi. Tutti i paesi occidentali colonizzatori hanno attraversato questo momento. In Francia si parla di francofonia, in Spagna di ispanofonia. L’italofonia nascente divenuta realtà ormai incuriosisce alcuni esperti, il mio augurio è che coinvolga i letterati e il mondo accademico poiché il suo contributo è incommensurabile. L’appuntamento del terzo millennio è il meticciato culturale. Le lingue si mescolano per partorire i neologismi, le nostre sfumature sfornate tra due lingue arricchiscono la lingua italiana, ma in tutto questo è la lingua italiana che rappresenta il fulcro, il vero barometro. Allora non si può creare una dicotomia: la letteratura diventa una e indivisibile.
Pur essendo la poesia l’asse centrale della tua attività, per lo meno editoriale, tu sei impegnato sul fronte della comunicazione. Sei spesso presente in occasioni di discussione e dialogo con il pubblico, intervieni in merito a grandi parole che celano grandi problematiche come migrazione, diritti, Africa. Quanto e cosa può fare un intellettuale di fronte a questioni sociali che lo sovrastano eppure lo riguardano così da vicino?
Moltissimo. Il poeta è prima di tutto un artista, il vate del suo popolo. Le grandi rivoluzioni nascono sempre attraverso l’uso del canto e della parola. Nelle mie opere come nei miei incontri cerco sempre di mettere in prima fila la difesa culturale delle minoranze. Credo che i veri problemi non si risolvano con l’uso delle armi e della guerra, ma con il dialogo, la poesia e la letteratura. Riflettere e far riflettere, usare la grammatica della negritudine per ridare dignità all’Africa ad esempio, ridisegnare la semiologia dell’immigrazione per favorire l’integrazione degli immigrati. Parlare del relativismo culturale per uguagliare i cittadini. Mi sono prefissato prima di tutto l’amore tra i popoli e l’universalità delle culture.
L’Italia pare essere recentemente uscita da una stagione politica di veleni, in cui partiti non all’altezza della situazione hanno progressivamente invitato il paese alla rilassatezza e alla paura, alla banalità e alla xenofobia. Se è vero che le storie politiche di alcuni personaggi sono tramontate, quanto credi dureranno le complicazioni sociali che le loro azioni hanno inflitto al Paese e quanto, in fondo, gli italiani sono simili a loro?
Non si può negare che l’Italia e la Germania hanno lasciato un’impronta poco gradevole nella storia dell’umanità. Due ideologie hanno trascurato il destino dell’essere umano: il nazismo e il fascismo. Vivere in questi due paesi e vedere politici che continuano a professare tali ideologie non è per nulla gradevole. La xenofobia esiste, il razzismo è presente, la discriminazione esiste a tutti i livelli. Siamo presenti ad una pagina nefaste della politica italiana. Occorre a mio parere creare la società dei diritti e doveri e non della paura, la società della meritocrazia, dell’uguaglianza e non dello slogan “l’Italia agli italiani”. Occorre accettare l’Altro come soggetto e non come oggetto. Considerando che l’Italia ha già le sue mille contraddizioni, il nord scissionista, gli italiani del sud non ben visti, è palese che gli immigrati avranno enormi difficoltà ad essere accettati. Il paese ha l’interesse di voltare pagina, pensare al destino dei suoi cittadini che sono tutti coloro che calpestano la terra italiana.
In due tuoi versi canti la bellezza della parola, dicendo “… la meraviglia della parola / è la sua limpidezza …”. Oggi assistiamo a fenomeni forti che investono idiomi in mutamento costante: la contrazione e l’impoverimento delle parole come conseguenza della tecnologia comunicativa e mediatica, l’ingresso sempre più aggressivo dell’inglese, l’apporto neologistico di tanti migranti. Quando la parola può dirsi limpida?
Fa parte della missione del poeta attingere nell’alveare dell’alfabeto le parole, collegarle e partorire con esse i suoi versi. La parola ha il suo senso, il suo significato, il suo profumo e il suo peso. Non dimentichiamo che la semplicità è arte e per traghettare i nostri sentimenti e le nostre emozioni ci vuole limpidezza nei concetti e nelle parole che usiamo.
La cultura non è statica ma vive di osmosi e scambi. Quanto può essere utile la presenza e l’impegno dei migranti per riuscire a livellare il provincialismo del nostro Paese e la sua corsa a diventare sempre più periferia?
Il ruolo di ogni Stato è uguagliare i suoi cittadini indipendentemente della provenienza, del colore della pelle, della lingua e della fede. I migranti sono a tutti gli effetti dei cittadini a prescindere della loro provenienza poiché vivono in Italia convivendo con gli autoctoni. Il futuro è il “meticciato”, i figli dei migranti sono italiani e avranno anche loro qualcosa da dare, da dire e nello stesso tempo da ricevere. Ribadisco il concetto di universalità che dovrebbe essere la bandiera sia dei poeti sia dei politici. Ora penso che i migranti debbano eccellere a tutti i livelli, lavorare per il loro paese, l’Italia, e occuparsi delle cose pubbliche. Il livello di integrazione si misura anche nella partecipazione dei migranti.
Con questa intervista a Cheikh Tidiane Gaye la redazione di Mumble: torna a lanciare, dopo i due appuntamenti di “Radici di mangrovia”, uno sguardo verso la realtà della letteratura italiana prodotta dagli autori di origine straniera, momento cruciale del percorso verso la conoscenza autentica delle diversità che possono unirci e fenomeno destinato a rinnovare letteratura e società.
La redazione di Mumble: coglie l’occasione per esprimere la propria sensazione di vuoto a fronte della scomparsa dell’amico scrittore STEFANO TASSINARI, che con coerenza e lucidità ha sempre messo a disposizione dei giovani che tentano di “fare cultura” la propria autorevolezza, scevra di ogni paternalismo ma intelligente e sincera come può essere solo quella di un vero compagno. Ciao Stefano.
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